Tappo a vite sul Barolo? Gli Svitati chiedono al consorzio di utilizzarlo

La chiusura “tecnica” è vista come una caduta di immagine per prodotti di elite, ma in realtà è un’ottima alternativa

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E se un giorno ci ritrovassimo con una bella bottiglia di Barolo chiusa con un tappo a vite, come reagiremmo? La maggioranza, probabilmente sobbalzerebbe, collegando questa tipologia di confezionamento, ad un vino di “bassa qualità”. Eppure, nel mondo ci sono prodotti venduti a decine di euro, che escono dalla cantina con il tappo di alluminio, segno che di mezzo non c’è la voglia di risparmio, ma solo il desiderio di offrire un prodotto buono e costante nel tempo.

 

È ormai da qualche tempo che in Italia è nato il “Club degli Svitati”, su iniziativa di alcuni produttori: Silvio Jermann, Walter Massa, Graziano Prà, Mario Pojer e  Franz Haas Junior. In occasione dell’ultimo incontro, avvenuto nei giorni scorsi, le cronache ci parlano di un sesto produttore: Sergio Germano, dell’omonima cantina di Serralunga. Sarebbe proprio lui il promotore del Barolo “a vite”. Ad impedire questa tipologia di tappo c’è, ovviamente, il disciplinare del Barolo Docg, che ne vieta l’utilizzo. Ultimamente c’è già stata una minima apertura ai cosiddetti tappi tecnici: «C’è un decreto ministeriale del 2012 – spiega Michele Antonio Fino, professore di Fondamenti del Diritto Europeo, Food Law ed Ecologia Giuridica dell’università di scienze gastronomiche di Pollenzo – che all’articolo 15 consente le con tappo tecnico.

Al comma successivo, però, viene detto che ogni consorzio può preservare la propria reputazione attuando il blocco della misura». Dunque non ci sono ragioni tecniche, ma solo questioni di immagine. Basterebbe che il consorzio autorizzasse la pratica e ognuno potrebbe fare come meglio crede. D’altro canto la chiusura a vite è certamente una delle più sicure da un punto di vista organolettico. Quante volte stappando una bottiglia, abbiamo dovuto buttarla per il fatidico gusto di tappo? Con il metallo non succederebbe. Certo ci sarebbero pericoli di “riduzione”, con possibili puzze, che sarebbero facilmente eliminabili, con un arieggiamento del prodotto. Il dibattito è comunque aperto: «In troppi – dicono gli Svitati – pensano che si perda il romanticismo di stappare una bottiglia ma forse è meglio bere un vino di qualità che pensare alla poesia della stappatura».

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