Sfruttamento della prostituzione, finisce nei guai pensionato albese

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Le indagini condotte dai carabinieri della Compagnia di Canelli (At) hanno portato all’arresto di U. C., 73 anni, pensionato albese, accusato di fare da “taxi” per un’organizzazione che controllava la prostituzione di strada lungo la statale 231, a Monticello e ad Alba. L’uomo è stato posto ai domiciliari. Con lui sono stati fermati e si trovano in carcere ad Alessandria due fratelli albanesi, O. T . di 39 anni e T. T. di 45. Entrambi incensurati e domiciliati ad Asti, secondo l’accusa erano al vertice di un’organizzazione che con l’aiuto di due donne gestiva un giro di giovani connazionali costrette a vendersi lungo le strade e a cedere gran parte dei proventi del meretricio ai loro “protettori”. Le due donne sono adesso una agli arresti domiciliari, all’altra il magistrato ha imposto l’obbligo di dimora ad Asti. Le accuse a vario titolo comprendono oltre al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione, anche la rapina.
L’indagine era cominciata lo scorso febbraio quando il 112 intervenne a Isola d’Asti presso il cimitero a soccorrere una giovane albanese: era stata malmenata da due uomini che le avevano anche rubato il telefono cellulare, lasciandola a terra seminuda con lesioni alla testa, alle gambe e alla braccia. Portata in ospedale, raccontò che il pestaggio le era stato imposto da chi di fatto deteneva il possesso delle piazzole di sosta anche a Costigliole, Vigliano e Agliano oltre che appena fuori Alba. Tutte località storicamente note per essere “luoghi di lavoro” delle prostitute. I militari avviarono una serie di appostamenti e pedinamenti che hanno consentito di individuare e svelare l’organizzazione. Le donne convivevano tutte in un appartamento ad Asti e quanto guadagnavano vendendo i loro corpi la notte veniva trattenuto dai capi. Chi provava a ribellarsi o non “produceva” secondo le attese, come la giovane di Isola, veniva sottoposta a punizioni corporali, picchiata. Due albanesi più anziane erano addette ai controlli. Al soldo della banda era inoltre U. C., che a quanto pare intascava 10 euro per ogni servizio di accompagnamento con la propria auto “al lavoro” delle malcapitate, ciascuna nel posto assegnatole. Sempre secondo quanto ricostruito dai carabinieri, questo racket andava avanti da almeno tre anni e si era fermato soltanto la scorsa primavera quando, con il lockdown per la pandemia che aveva svuotato le strade, O. T. e T. T. ne avevano approfittato per fare rientro dai parenti in Albania.

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