Cia Cuneo: “Chi alleva bovini di Razza Piemontese non può sempre lavorare in perdita”

Lo dice Silvio Chionetti, vicedirettore e responsabile dell’area tecnica provinciale dell’organizzazione agricola. Che aggiunge: “Prima si diminuiscono i capi e, poi, si chiudono le stalle”

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Gli allevamenti dei bovini di Razza Piemontese in Italia sono poco più di 4.000, concentrati per il 60% nella provincia di Cuneo e i rimanenti soprattutto in quelle di Torino, Biella, Asti e Alessandria. Nel nostro Paese si arriva a un totale di oltre 280.000 capi allevati. Nel settembre 2023 il costo medio di produzione alla stalla dell’animale vivo era di 4,5/4,7 euro al chilogrammo contro un prezzo massimo di vendita sui 4/4,15 euro al chilogrammo. Come è adesso la situazione? Lo abbiamo chiesto a Silvio Chionetti, vicedirettore e responsabile dell’area tecnica provinciale di Cia Cuneo. Afferma: “Non è cambiata. Le spese per le materie prime e il gasolio sono sempre le stesse e le aziende continuano a lavorare in perdita. Anche perché, rispetto ad altre carni bovine, i costi di produzione toccano soglie elevate, in quanto la qualità della “Piemontese” è molto alta per i disciplinari rigidi sui tipi di alimentazione e sulle modalità di allevamento. Però, nei prezzi di vendita c’è poca differenza con le altre razze da carne e la qualità non viene remunerata il giusto”.

 

Inoltre? “La “Piemontese” è un fiore all’occhiello del nostro territorio, tra l’altro allevata in modo sostenibile a livello ambientale, ma non è valorizzata come meriterebbe. La Regione ha lanciato un progetto, senza ancora aver raggiunto i risultati sperati. E la grande distribuzione organizzata e i grandi marchi cooperativi dovrebbero impegnarsi di più nel promuovere dei percorsi di filiera che invoglino le famiglie ad acquistare questa eccellenza”.

Cioè? “La non adeguata valorizzazione della “Piemontese” si collega a una non adeguata sensibilizzazione del consumatore sulle eccellenti caratteristiche organolettiche della carne. E allora si scelgono altre razze magari per pochi centesimi di differenza. Inoltre, bisognerebbe sviluppare una strategia sul come presentarla e cucinarla. Trovarla confezionata nelle vaschette è diverso dal farsela tagliare al momento. A questo si aggiunge la vita frenetica dei tempi attuali per cui si consumano spesso cibi pronti, dimenticando così i tagli pregiati offerti dalla “nostra” razza bovina. Come quelli per il bollito e il brasato. Certo bisogna dedicare maggiore tempo a cucinarli, ma hanno un sapore unico e impagabile. Senza dimenticare che, comunque, la “Piemontese” è ottima anche per preparare altri piatti: dalla battuta alla costata, agli hamburger”.

Quindi, quali rischi corre il comparto in prospettiva futura? “Nelle zone di produzione durante l’ultimo anno c’è stato il calo di un migliaio di fattrici. Se è un modo per aumentare ulteriormente la selezione e la qualità va bene, se invece è il campanello d’allarme di una riduzione degli animali allevati forse bisogna iniziare un ragionamento sui possibili errori commessi. Soprattutto sul fronte della promozione. Gli allevatori di “Piemontese” continuano a metterci impegno e passione, ma se devono sempre lavorare in perdita prima diminuiscono i capi e poi sono costretti a chiudere le stalle. E alcune aziende piccole insediate nei territori marginali, che hanno costi più alti, lo stanno già facendo”. 

 

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