Ai nostri tempi

Non so da dove origini il fatto che ogni storia, anche la più verosimile, cominci con “c’era una volta”. Così è anche per il ricorrente modo di dire “ai nostri tempi”. Nell’uno e nell’altro caso si fa sempre riferimento a un passato che, ormai avvolto in ricordi frammentati di nostalgia o in visioni fiabesche e romanzate, seduce più gli anziani che i bambini. A parte le favole e le fiabe, i tempi andati possono certamente servire di lezione per il presente.

Ma pensare soltanto al passato rischia di spegnere il futuro. E’ probabilmente quanto stanno tristemente sperimentando le nostre giovani ed i nostri giovani, che vedono continuamente il mondo degli adulti e degli anziani rifugiarsi nei loro tempi. Magari anche nascondersi dietro ai loro grandi ideali lasciati morire per comodità e pigrizia, se non traditi. Alla coerenza e alla concretezza di un’azione costruttiva, il nostro mondo di anziani ha preferito lasciarsi sopraffare dalla retorica.

E’ stato come un abbandono conclamato della parola profetica, che da sempre era attribuita ai padri. Forse è ora che qualcuno risvegli la generazione degli anziani, perché acquistino consapevolezza che questo drammatico presente è il risultato del loro precedente agire. Occorre effettivamente che la parola venga consegnata ai giovani, che sono in grado di interrompere il continuo scaricabarile di quanti sanno soltanto dire “ai nostri tempi”. Sono capaci, i giovani, di richiamare tutti ad un’assunzione di responsabilità. Nessuno può tirarsi fuori perché è una sfida aperta ed ineludibile. Bisogna avere il coraggio di cambiare il punto di vista dominante, quello dei padri, e di guardare il mondo con gli occhi preoccupati delle generazioni future. Spero e mi auguro fortemente di incontrare ancora adulti ed anziani capaci di ascoltare gli allarmi dei loro figli e delle loro figlie. Adulti ed anziani capaci di dire ai giovani: “Questi sono già ‘i vostri tempi’ ma ne verranno di migliori”.