Provaci ancora amico mio

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Vorrei parlarvi di un amico. Una telefonata di lavoro, qualche giorno fa è scivolata poi sul personale. Abbiamo parlato di un argomento triste, eppure così comune: la delusione. Sostiene il mio amico, uomo che ha letto libri e conosce la vita come le chitarre di cui è appassionato e ottimo fruitore, di essere rimasto molto amareggiato dalla deludente risposta ad una bella iniziativa culturale da lui organizzata. Appuntamenti musicali piacevoli, ma rigorosi il giusto. La cosa pensata proprio per mandarti a casa almeno un pelino migliore di quando sei entrato. Al costo di una birra alla spina, in fondo una cosa ragionevole, praticamente allegorica. Il risultato, in termini di spettatori, può essere riassunto nel risultato di una partita di pallone, ma di quelle che non finiscono ai rigori. Mi dispiace avere percepito vero dolore nella voce del mio amico. Insieme col sapore amaro delle parole, dei concetti e delle conclusioni che ne vorrebbe trarre. Ovvero alzare bandiera bianca e dire basta così, il mio l’ho fatto. Vediamo cosa faranno altri e con quali risultati. E’ davvero curioso notare quanto sia inflazionata la parola emozione. Oggi bisogna emozionarsi a tutti i costi, quasi sempre per nessun valido motivo. Peccato che tutto questo sentimento che esprime gioia, trasporto, coinvolgimento e tutto il resto, trovi spazio ormai quasi unicamente in televisione e sui social media. Un concerto eseguito con strumenti antichi in un bellissimo e antico coro ha avuto come testimoni forse neppure cinque persone. Eppure, in quel contesto, hai voglia a emozionarti. Pensando alla storia degli strumenti, coevi della chiesa, alle vibrazioni che hanno prodotto guidati dalle mani di generazioni di musicisti per stupire generazioni di ascoltatori. E ricevere un premio non è forse emozionante? Ma neanche per scherzo! Si prende la busta e via col vento. Il resto è noia, altro che emozione! “Vorrei lasciare” mi ha detto il mio amico. Troppo emozionato per andare oltre.

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