Peste suina in Piemonte: Richiesto il blocco della caccia nei comuni dell’ovadese

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È il Piemonte la prima Regione, dopo gli storici casi in Sardegna, a ospitare il cinghiale “zero”, ovvero il primo infettato da Peste Suina Africana (PSA). Una sciagura annunciata: il rischio da troppo tempo trascurato e sottovalutato dalle istituzioni purtroppo è diventato realtà! Il comparto agricolo piemontese, in particolare quello zootecnico, si trova nuovamente sotto attacco a causa della specie alloctona cinghiale: dopo le distruzioni causate alle coltivazioni, si aggiunge il rischio reale di diffusione della Peste Suina Africana (PSA), malattia virale che infetta maiali di allevamento e cinghiali selvatici.

L’esemplare di cinghiale affetto da PSA è stato rinvenuto presso Ovada in provincia di Alessandria ed immediatamente analizzato dall’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, centro di referenza nazionale per le malattie da postivirus, che ne ha confermato la positività. Questa epizoozia ben conosciuta agli addetti del settore, già presente nei Paesi dell’Europa Centro-Orientale, ha così purtroppo raggiunto anche il nostro areale con il rischio di ripercussioni catastrofiche sulla suinicoltura nazionale dai risvolti imprevedibili. Il settore suinicolo italiano conta oggi poco meno di 9 milioni di capi in oltre 30 mila allevamenti (dati ISMEA), generando un fatturato annuo superiore a 8 miliardi di euro. Questi allevamenti sono alla base della produzione di eccellenze agroalimentari come salumi DOP simbolo del Made in Italy ed esportati in tutto il mondo.

La gestione della biosicurezza è l’unico strumento per prevenire il contagio essendo la PSA letale per tutti i suidi e non essendoci né cura e né vaccino. I protocolli sanitari sono attuabili più agevolmente negli allevamenti di suini convenzionali, mentre risultano pressoché impossibili da applicare negli allevamenti che prevedono aree all’aperto fruibili dagli animali o la conduzione allo stato semi-brado. Analoghe difficoltà si riscontrano nella gestione dei suidi che vivono in natura allo stato selvatico, come il cinghiale. La possibilità che questo ungulato si avvicini agli allevamenti in cerca di cibo, o per un richiamo sessuale, aumenta il rischio di propagazione della PSA, considerando che i sistemi di diffusione 2 del virus non avvengono solo per contatto diretto con saliva, feci e urine, ma anche indirettamente attraverso vettori parassiti quali le zecche. I sistemi di caccia al cinghiale svolti con l’ausilio di cani, quali la braccata e la girata, risultano essere ancora una volta deleteri e particolarmente pericolosi circa la progressione del contagio perché queste metodologie comportano lo spostamento di singoli individui infetti divisi dal gruppo originario o, addirittura, di interi branchi in zone ancora esenti dal problema, velocizzandone la diffusione.

Gli animali che superano la malattia possono restare portatori del virus per circa un anno, giocando dunque un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua trasmissione. Il virus è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni, sopravvivendo all’interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature.

Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi (fonte Ministero della Salute). Per queste motivazioni, il non corretto smaltimento delle viscere ottenute dai capi macellati a seguito dell’attività venatoria può diventare anch’esso elemento di diffusione del virus. Valutate le premesse sopra citate, il Comitato spontaneo CoAARP urgentemente chiede:

  • l’immediato blocco di ogni tipo di attività venatoria hobbistica riguardante il cinghiale su tutto il territorio della Regione Piemonte;
  • l’abbandono ufficiale da parte dell’Assessorato all’Agricoltura, Cibo, Caccia e Pesca del progetto di una “Filiera eco-alimentare” della carne di cinghiale. Prevedendo uno scenario simile e considerando la presenza della PSA in Paesi Europei confinanti, fin dalla sua costituzione il CoAARP si era già fermamente opposto a questa iniziativa, attraverso comunicati stampa e la promozione di manifestazioni e di una petizione (la raccolta delle sottoscrizioni è ancora attiva presso numerosi uffici comunali);
  • la distruzione di tutte le carcasse di cinghiale con la modalità dell’incenerimento, comprese quelle catturate con azioni di autodifesa;
  • interventi incisivi da parte della Regione Piemonte per ridurre significativamente il numero di cinghiali attraverso tecniche già collaudate di prelievo, con sistemi tali da non permettere lo spostamento degli animali da un areale all’altro.
  • L’utilizzo di recinti di cattura e il contenimento nelle ore notturne mediante l’ausilio delle moderne tecnologie (fototrappole, visori notturni, termocamere) sono solo alcuni dei modi per raggiungere l’obiettivo.

Per rendere operative queste proposte, è fondamentale che la Regione si doti immediatamente di personale specializzato e adeguatamente formato alle mansioni previste. Inoltre l’Ente pubblico, contrariamente a quanto avvenuto finora, deve scrupolosamente seguire i protocolli definiti da enti specializzati in materia come, ad esempio, ISPRA.

Il Comitato auspica che queste proposte vengano considerate dagli Enti preposti alla gestione della fauna selvatica adottando iniziative tempestive, efficaci e durature, affinché si possa circoscrivere la diffusione dell’infezione PSA limitandone i danni socioeconomici.

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