Peste suina, crescono i casi tra i cinghiali, stop agli allevamenti di maiali in zona rossa

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I ritrovamenti di cinghiali infetti aumentano, la rete di contenimento che dovrebbe cingere la zona rossa non è ancora terminata e ci sono già stati casi anche al di fuori del perimetro della barriera. A questo si aggiungono gli abbattimenti, fermi a un quinto di quelli previsti: circa 10mila, sui 50mila programmati.

A poco più di un anno dal primo caso accertato a Ovada, nell’Alessandrino, Piemonte e Liguria non riescono a liberarsi dalla morsa della pesta suina africana. L’ultimo bollettino delI’Istituto Zooprofilattico regionale del 18 gennaio registra altri 11 casi, 8 in provincia di Alessandria e 3 in quella di Savona. Segno che non rallenta la corsa del virus non trasmissibile all’uomo ma che colpisce i suidi, e cioè i cinghiali ma potenzialmente anche i maiali: per ora non è accaduto, ma è proprio per il timore che la malattia entri negli allevamenti che l’anno scorso è stato ordinato l’abbattimento di tutti i suini sani della zona rossa, 6.500 in Piemonte. Lo stop alla reintroduzione di nuovi capi è appena stato prorogato fino a inizio aprile. L’auspicio – ci spiega il commissario straordinario all’emergenza della peste suina, Angelo Ferrari – è di far ripartire gli allevamenti entro l’anno, ma non lo si può ancora garantire. Uno stallo difficile per gli allevatori e per tutta la filiera.

Intanto alla rete di contenimento che dovrebbe trattenere i cinghiali nella zona rossa mancano gli ultimi 30 chilometri, sui 140 totali, costati circa 15 milioni di euro. Resta questo lo strumento principale della strategia del commissario Ferrari per eradicare il virus, anche perché è la Commissione Europea che la raccomanda.

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