Oggi 7 febbraio è la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo

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Le parole feriscono, molto più di quanto si creda. Soprattutto se la potenza degli insulti arriva tramite il web. Ogni giorno in molte scuole si registrano episodi di bullismo e cyberbullismo. Per il Concy (Centro nazionale cyberbullismo), un ragazzo su quattro in Italia tra 11 e 17 anni è stato coinvolto. ll bullo c’è sempre stato ma negli ultimi anni si riscontra maggiore rabbia, aggressività, mancanza di empatia. E si abbassa l’età: prima il bullo aveva dai 14 ai 16 anni; ora si inizia già tra i 7 e gli 8 anni.

Ma qualche segnale positivo c’è. I ragazzi stessi sono più consapevoli di questo fenomeno e hanno un maggior senso di giustizia: l’85,8% ritiene giusto denunciare un comportamento persecutorio a genitori e insegnanti.

Chi è il “bullo”?

La definizione di bullo risale al 1996, allorché Dan Olweus ha affermato che “uno studente è vittima di bullismo, ovvero è prevaricato e vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, ad azioni offensive da parte di uno o più compagni”. In linea generale sono identificabili tre tipi di comportamento aggressivo, tutti e tre caratterizzati da intenzionalità, persistenza e squilibrio di potere:

violenza fisica diretta

violenza verbale

violenza relazionale (indiretta) caratterizzata da violenza psicologica (diffamare, isolare, escludere la vittima).

Cosa si intende per “cyberbullismo”?

Oggi la tecnologia consente ai bulli di entrare in ogni momento nella vita delle loro vittime, con messaggi, foto, video offensivi inviati tramite web. Il bullismo diventa quindi cyberbullismo. Infatti, in base al testo della legge 71/2017, che per la prima volta ha dato una definizione del fenomeno, per cyberbullismo si intende

Qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on-line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.”

Chi è il cyberbullo?

In altri termini, il cyberbullo è molto spesso un bambino o un adolescente che mette in atto prevaricazioni, spesso rafforzato dal gruppo dei bulli gregari (o bulli passivi), che online si configurano come tutti quelli che contribuiscono a diffondere le offese, le discriminazioni o che semplicemente, anche solo con un “like”, confermano il cyberbullo nel suo comportamento discriminatorio. I ragazzi si sentono ancora più forti pensando che la rete garantisca loro l’anonimato. La distanza fisica creata dallo schermo riduce l’empatia, e quindi la capacità di comprendere lo stato d’animo della vittima, amplificandone le conseguenze. Questa forma di bullismo può essere maggiormente nascosta al mondo degli adulti, data la generale maggiore competenza tecnologica dei ragazzi rispetto ai genitori.

Un fenomeno in crescita

Le denunce alla polizia postale per reati connessi al cyberbullismo a danno di minori sono cresciute del 65%, passando dalle 235 del 2016 alle 388 del 2018. Ciò che preoccupa è anche l’età sempre più bassa sia delle vittime che dei cyberbulli, basti pensare che il 70% degli under 14 è presente sui social, come si rileva dai dati del Ministero dell’Istruzione.

Quali consigli ai genitori?

Smartphone e tablet con la supervisione degli adulti nei più piccoli

Troppo spesso i genitori lasciano inconsapevolmente nelle mani dei bambini, anche piccoli, smartphone e tablet, usati come pacificatori o per intrattenimento. Queste “brutte abitudini” sono state evidenziate dalla SIP in due statement ufficiali sull’utilizzo dei media device tra i minori. I documenti hanno evidenziato l’importanza, soprattutto nei primi anni di un bambino, della presenza costante di un genitore o di un caregiver. La presenza di un adulto nella fruizione dei contenuti può favorire il processo di regolazione delle emozioni, contribuendo a prevenire casi di bullismo precoce. Di contro, bambini che non provano empatia, non sanno chiedere aiuto, presentano un’emotività incontrollata, sono a maggior rischio di sviluppare dinamiche offensive. Così pure, bambini che vedono in rete contenuti violenti (su cui involontariamente approdano smanettando sul cellulare di mamma e papà) spesso non riescono a distinguere tra realtà e finzione. È per questo che la Società Italiana di Pediatria è impegnata a diffondere un uso consapevole e responsabile della tecnologia, che richieda necessariamente la supervisione di un adulto.

Attenzione ai campanelli di allarme negli adolescenti

Nel caso poi degli adolescenti, un abuso, nell’era dei social network, rischia di divenire “virale”. È importante quindi un intervento precoce, agendo sia sulla vittima sia sul bullo perché sono entrambi espressioni, uguali ma opposte, di un profondo disagio affettivo e relazionale. Il rischio è anche quello di sviluppare da adulti crisi di ansia, autostima, depressione o comportamenti antisociali. Ma quali sono i campanelli di allarme?

alterazioni dell’umore, come aggressività, nervosismo, irascibilità, ma anche depressione, apatia e ricerca della solitudine

uso prolungato o abuso di dispositivi elettronici (smartphone, tablet) con difficoltà al distacco

disturbi somatici, quali perdita di peso o incremento eccessivo, mal di testa, alterazione del sonno, disturbo di concentrazione scolastica

Il ruolo degli adulti: l’importanza del dialogo e del contesto educativo

I genitori rappresentano un modello importantissimo da cui i figli prendono l’esempio sin dai primi anni dell’infanzia; di solito i comportamenti vissuti in famiglia vengono riproposti nella relazione con i coetanei. Genitori permissivi, che difendono i figli in ogni occasione e spesso senza una valida ragione, possono favorire atteggiamenti aggressivi e arroganti nei confronti dei loro compagni più deboli. In generale un contesto educativo e culturale che propone modelli violenti, che istiga la competizione, che giustifica l’uso della violenza e la utilizza per far valere le proprie idee, è predisponente a comportamenti da “bullo”. Tuttavia, se i genitori sono presenti ed attenti, se hanno un dialogo costante con i propri figli, se educano al rispetto e all’accoglienza dell’altro e del diverso, se li aiutano a perseguire degli obiettivi, spesso riescono a tenerli lontani dai contesti che possono favorire l’insorgenza di questi atteggiamenti aggressivi. Ogni adulto che si rapporta con adolescenti rappresenta un educatore, ruolo a cui non può sottrarsi.

Dal 2017 c’è una legge che protegge le vittime di bullismo e cyberbullismo.

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