Monforte d’Alba: parte la vendemmia di una stagione anomala

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Un’immagine inviata dalla Cia insieme a questo comunicato: ritrae un filare di Barbera dell’azienda Conterno e Fantino

Per la provincia di Cuneo la vendemmia è entrata nel vivo. A inizio agosto si è avviata la raccolta delle uve di Pinot Nero e Chardonnay da spumante. A metà mese è cominciata quella del Moscato e dei Chardonnay e Sauvignon da vini fermi. In questi giorni parte il taglio dei grappoli di Arneis e dei primi Dolcetti. Poi, da metà settembre tocca alla vendemmia del Barbera seguita da quella dei Nebbioli. Da che cosa è stata contraddistinta la stagione produttiva 2022? Lo abbiamo chiesto a una persona del mestiere: Claudio Conterno, presidente provinciale di Cia Cuneo, nonché titolare, insieme a Guido Fantino, di un’importante azienda vitivinicola a Monforte d’Alba. Dice Conterno: «E’ stata un’annata strana, calda e di grande siccità alla quale non eravamo abituati e di cui non abbiamo esperienze precedenti. Alte temperature le avevamo già avute nel 2003, ma allora durante l’inverno e la primavera erano cadute neve e pioggia in abbondanza e potevamo contare su una buona riserva d’acqua. Quest’anno i terreni sono asciutti».

Per cui? «Non avendo impianti di irrigazione di soccorso perché, fino a ora, non ce n’era mai stato bisogno, non abbiamo potuto cambiare l’andamento della stagione.  Si può prevedere un meno 15-20% di produzione: non solo in chili raccolti, ma proprio in resa nel passaggio da uva a vino. Gli ultimi temporali, portando pioggia, hanno leggermente migliorato la situazione senza, però, modificare sostanzialmente l’annata. Se arrivasse ancora altra pioggia potrebbe aggiustare la stagione del Barbera e dei Nebbioli».

Le caratteristiche organolettiche dei vini 2022? «Proprio per lo sviluppo anomalo dell’annata, potremo leggerle con certezza tra un paio di mesi. Comunque dovrebbero essere vini molto strutturati, di buona gradazione alcolica, di grande morbidezza e con meno eleganza di altre stagioni. Poi, si vedrà come evolveranno con la maturazione e l’invecchiamento in cantina. Certamente per i nostri vini sono preferibili annate più fresche dal punto di vista meteorologico».

Ci sono stati problemi legati alle malattie nella coltivazione? «Per quanto riguarda peronospera e oidio non ci sono state grandi difficoltà. Restano sempre in primo piano le due patologie sistemiche del mal dell’esca e della flavescenza dorata. La prima, causata da funghi, si può tamponare con delle operazioni mirate sulla vite le quali consentono il recupero del 60-70% della pianta. Per la seconda servono interventi radicali in quanto il fitoplasma che la provoca ha effetti devastanti sulla coltura».

Cioè? «Le piante colpite vanno abbattute e reimpiantate. E bisogna tenere puliti i boschi confinanti con i vigneti e i terreni incolti che favoriscono lo sviluppo dell’insetto vettore della malattia. Invece, purtroppo, c’è stata una sorta di abitudine alla flavescenza dorata e le viti malate non vengono recise alla radice. Per questo, come Cia, chiederemo alla Regione, il cui settore fitosanitario ha la competenza sulla materia, di obbligare le aziende al taglio delle piante colpite. Altrimenti non si potrà mai contenere e debellare la malattia. Estirpare le viti, curare i boschi e gli incolti devono essere decisioni tecnico-politiche da imporre rapidamente».

Le crisi internazionali, come l’invasione russa dell’Ucraina, avranno degli effetti negativi sulle vendite del vino? «Direi di no, perché il mercato del vino sta vivendo un periodo molto positivo e ci sono le stesse, buone prospettive degli anni passati».

Il futuro del settore vitivinicolo? «Dobbiamo progettarlo coinvolgendo tutti gli attori interessati: aziende e tecnici del comparto; Istituzioni; Università per la ricerca. Mettendo insieme le esperienze si possono raggiungere grandi risultati. Perché stagioni calde come quella di quest’anno diventeranno la regola. E allora bisogna adottare tecniche di ombreggiatura e costruire tanti piccoli invasi per raccogliere l’acqua da utilizzare quando serve: quest’ultimo un percorso utile non solo all’agricoltura, ma all’intera comunità. Il tutto cercando di imparare da ciò che hanno già fatto altri Paesi con temperature più calde delle nostre».

I tempi? «Realizzare dei bacini richiede una programmazione di almeno venti anni. Perciò, se vogliamo prevenire il grave problema della siccità, dobbiamo cominciare a ragionarci oggi e, poi, possiamo lasciare il lavoro iniziato alle prossime generazioni che avranno il compito di renderlo concreto. Perché negli anni a venire il vero problema non sarà l’energia, ma avere sempre l’acqua sufficiente a soddisfare le esigenze delle persone e delle aziende: non solo quelle agricole».

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