La messa senza il sacerdote: Bra porterà i laici sugli altari

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A Genova la stanno già sperimentando e l’hanno definita una «decisione pilota» a cui l’Arcidiocesi di Torino potrebbe presto accodarsi, portando i laici sull’altare. Formati in un percorso dedicato, uomini e forse anche donne officeranno messa, predicheranno con l’omelia e come già accade da decenni distribuiranno la comunione. Solamente la consacrazione dell’ostia resterà prerogativa del sacerdote, “unto” del Signore. Non in termini così espliciti e semplicistici di cui chiediamo scusa, ma se ne parlerà a Bra il prossimo mercoledì 25 ottobre quando al santuario della Madonna dei Fiori arriverà don Mario Aversano, vicario per la Pastorale del vescovo Roberto Repole. Una evoluzione affatto improvvisa, anticipata dai sempre maggiori spazi concessi ai diaconi eppure temuta e allo stesso tempo auspicata, discussa nel Sinodo aperto da Papa Francesco. Comunque la si voglia vedere, inevitabile data la penuria drammatica di vocazioni. Per la prima volta dal­l’anno 400 dopo Cristo, in chiesa si potrebbe celebrare senza un prete.

 

Tempo di cambiare

L’incontro di dopodomani sera con Aversano è stato preparato l’altra settimana da don Gilberto Garrone, rimasto responsabile unico di tutte le parrocchie dell’Unità pastorale 50 Bra, Bandito e Sanfrè. In un’assemblea con l’invito a relazionare e condividere in seguito le riflessioni nei vari gruppi locali, si è approfondita la lettera del­l’arcivescovo su quella che è stata definita «la fine di un certo modo di elaborare e vivere l’evangelizzazione». Monsignor Repore, è stato precisato, «non cambia i dogmi o i sacramenti, non mette in discussione nulla». Tuttavia, è tempo di cambiare. «Oc­corre ripensare – si legge sempre nel riassunto della riunione – al Ministero e ai ministri» siccome «il battesimo dà la stessa corresponsabilità dell’annuncio» ai credenti con o senza tonaca. Anche sot­to la Zizzola «saranno quindi predisposti dei corsi per formare i laici rispetto alle responsabilità che si vorranno prendere ciascuno secondo la propria chiamata». Don Gilberto: «Dentro di noi ci sono delle resistenze al cambiamento, sempre. È umano soffrire per i cambiamenti ma è umano ed evangelico camminare: come il popolo di Israele, l’esodo è la condizione che ci permette di uscire da dove siamo, verso la terra promessa». Ha aggiunto ancora il parroco: «Occorre arrivare preparati ai cambiamenti per salvare ciò che conta davvero. Gli strappi di Dio sono come quelli di quando togli un cerotto dalla pelle: fa male ma cura la ferita». Un passaggio si spera salvifico che don Gilberto avverte andrà preventivamente «masticato e digerito». Dovrebbe rilanciare la Chiesa Cattolica in una società civile secolarizzata che spesso «non le corrisponde più». Ma sarà anche uno choc per buona parte del pubblico delle funzioni.

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