Il Roero perde due personalità simbolo: il ricordo di Mariano Rittà e Bruno Bosio

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C’era un’atmosfera strana, nel Roero, la sera di lunedì scorso: un continuo andirivieni di macchine nel freddo e nella nebbia, con un meteo che prospettava la neve, ma un pensiero ricorrente e immaginabile dentro ciascun abitacolo, e ciascun cuore, che diceva “non importa, bisogna andare”. Ciascuno per la sua strada, in quel giorno che i media definivano come il “blue monday”, il giorno più triste dell’anno già da sé: dopo le festività, in un gennaio che tuttora pare lunghissimo, ma la cui noia è nulla in confronto al dolore e ai sentimenti che in molti hanno provato quella sera, il giorno prima, e anche nel giorno del commiato. Una doppia folla, diretta in parte a Monteu Roero, in parte a Canale: per stare vicini alla famiglia, e stretti nella propria comunità, nel rispettivo ricordo di due personalità venute a mancare troppo presto. Mariano Rittà, 47 anni: e Bruno Bosio, che di anni ne aveva 76.

La notizia della loro dipartita è arrivata per entrambi la mattina di quella domenica altrove animata dal chiasso della festa dei trifolau, nella capitale del pesco: e il cui clamore è stato ammutolito in un istante. Perché due amici del Roero non ci sono più, scomparsi entrambi dopo una malattia giunta improvvisa: e che in molti, in questi mesi, hanno seguito con apprensione. Due destini simili, eppur diversi: accomunati in superficie dall’impegno nella professione artigiana, nell’imprenditoria. Ma che, andando nel profondo, lascia comprendere ben altri punti in comune.

La loro forza era quella di essere unici. Mariano, con il suo sorriso, le sue tante passioni: il lavoro, la famiglia, ma anche il camminare, le rose, lo “spirito alpino”, l’intelligenza acuta e il talento naturale per la battuta amichevole che lo rendevano benvoluto da tutti. E basta pensare al popolo delle Rocche di cui riusciva ad impersonare il perfetto simbolo, e che si è riunito per lui, ancora incredulo: alle persone di ogni età che, in quelle ore, hanno voluto essere presenti, per pregare, per mettersi in tasca (ma ancor prima nella mente), la sua fotografia di ricordo in cui fa un cenno di saluto – perfettamente inquadrato dall’amica Patrizia Ferrero durante il Rosario, come un “arrivederci, ragazzi”- e dire un “grazie” con la voce strozzata dall’inevitabile tristezza del momento, e della prospettiva del vuoto incolmabile che ha lasciato. Bruno, personaggio a tutto tondo: un apparente burbero ma dal cuore infinito, che forse voleva nascondere idealmente in quel tabarro invernale che era come un marchio di fabbrica, una “firma” inimitabile. “Andava molto fiero del suo look anacronistico”, ha scritto giustamente un altro amico come Emiliano Scarsi, che dai social networks aveva dato per primo l’annuncio della sua dipartita. Perché era realmente una figura d’altri tempi, nel suo sapersi donare: con la sua generosità vissuta ogni volta quasi “dietro le quinte”, per seminare il bene nel buio, mentre tutti stanno ancora dormendo, svegliandoli in azioni e iniziative solidali a vantaggio degli Ultimi della Terra, dei dimenticati, magari ponendo la sua passione per il canto come punteggiatura su tutto e per tutto. E il Roero potrà solo fare una cosa, in un’umanità che ormai sa solo più copiare sé stessa come un ciclico remake: comprendere l’originalità del loro messaggio profondo, e farne tesoro per continuare ad onorarne la memoria, e voler bene più forte.

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