Giacomo Damonte, presidente Cia di Alba, è l’enologo nell’azienda di famiglia Malvirà di Canale

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Lungo  la strada che dal centro cittadino di Canale porta a Santo Stefano Roero c’è una piccola via che sale per alcune centinaia di metri all’azienda agricola Malvirà, ai piedi del vigneto Santissima Trinità. Siamo in località Case Sparse Canova, nel Roero: la parte di sinistra Tanaro, verso Asti. Poco più in alto, si scorge l’agriturismo Villa Tiboldi realizzato in una residenza storica con la parte centrale costruita 300 anni fa. In entrambi i posti il panorama è mozzafiato, con le colline dei vigneti tutto attorno. Respiri freschezza e serenità, immerso nelle meraviglie della natura. Le due attività sono gestite dalla famiglia Damonte. Roberto, con il figlio Giacomo, e Massimo, con i figli Francesco e Pietro, si occupano dei vigneti e della cantina. La moglie di Roberto, Patrizia, e la figlia di Massimo, Lucia, conducono Villa Tiboldi: una struttura rinomata e dalle caratteristiche di alto livello per la vista spettacolare e i tanti servizi offerti, oltre alla ristorazione e al pernottamento. Massimo ha poi ancora un figlio, Giuseppe, che frequenta l’ultimo anno della Scuola Media e non ha ancora deciso il proprio futuro. Nelle due aziende lavorano una quindicina di dipendenti e una cooperativa durante il periodo stagionale di raccolta delle uve. Si coglie nei Damonte l’orgoglio e l’entusiasmo del sentirsi famiglia, tipici del territorio del vino, dove si costruisce il futuro attraverso l’innovazione, ma con i piedi ben ancorati nelle tradizioni e negli insegnamenti di chi li ha preceduti. Camminando uniti per migliorare la qualità dei prodotti e delle proposte. Un modo di progettare che porta lontano.

 

La storia dell’azienda

La storia dell’azienda ce la racconta Giacomo Damonte, 36 anni, enologo laureato, che si occupa in particolare della produzione del vino. Tutto parte, negli Anni Cinquanta del secolo scorso, dai nonni paterni Giuseppe e Lucia e dalla zia Angiolina: sorella della nonna. Hanno due ettari e mezzo di terreno in cui coltivano uva, ma anche altri tipi di frutta. La cantina è in centro paese a Canale. I cinque figli, da giovani, danno loro una mano. Poi le sorelle Sandra e Gianna prendono altre strade. Giorgio, dopo essersi fermato per un po’ di tempo con i genitori, comincia il percorso di commerciante. Restano in azienda Roberto e Massimo, facendola diventare esclusivamente vitivinicola. Il curioso nome Malvirà sboccia a metà degli Anni Settanta. Dice Giacomo: “Venne scelto perché è lo stesso nome  con cui veniva chiamata la casa dei nonni in centro Canale. Nella tradizione contadina le dimore agricole erano sempre esposte a Sud. Invece la loro era l’unica del paese che guardava a Nord: quindi in piemontese malvirà, cioè mal girata”.

Malvirà cresce. Nel 1989 la cantina di vinificazione viene spostata in un edificio totalmente nuovo ai piedi del vigneto Santissima Trinità, poco fuori Canale. Anno dopo anno la struttura si amplia per adeguarsi alle necessità aziendali.

Villa Tiboldi, invece, viene acquistata insieme ai terreni dalla buona esposizione che la circondano. Spiega Giacomo: “In realtà volevamo solo quelli, ma i proprietari ci hanno imposto di comperare anche la casa. Era abbandonata da quasi un secolo. Abbiamo pensato di realizzare una struttura collegata all’azienda vitivinicola. L’apertura è avvenuta nel 2004”.

Con il passare del tempo entra nell’attività la terza generazione della famiglia Damonte. Per quanto riguarda Malvirà, che ha la certificazione biologica dal 2017, i vigneti gestiti adesso arrivano a 45 ettari. Tipologie: soprattutto Arneis e Nebbiolo, ma anche piccole porzioni di terreno dedicate a Barbera, Chardonnay, Sauvignon e Brachetto dal grappolo lungo. Poi,  una vigna di Nebbiolo da Barolo a La Morra  e una minuscola quantità di Riesling in Alta Langa. Le etichette prodotte di bianchi e rossi sono ben 21: tutte di gran pregio e anche con un medio e lungo invecchiamento. Le bottiglie immesse sul mercato arrivano a quasi 300 mila.

 

Il perché della scelta

Spiega Giacomo: “Il mio sogno da adolescente era diventare pilota di aeronautica. Ma quando ho iniziato a frequentare la Scuola Enologica di Alba e, dopo, l’Università a Torino, lavorando anche in azienda, l’ho accantonato. Poter unire le conoscenze dello studio con quelle pratiche in campo e in cantina mi hanno fatto crescere la passione per la vitivinicoltura che, già, in buona parte mi aveva trasmesso la famiglia. Adesso sono molto soddisfatto. L’attività è molto interessante perché spazia a 360 gradi: puoi stare nei vigneti; curare la preparazione e l’affinamento del vino e le degustazioni; viaggiare per promuovere i tuoi prodotti e il territorio; incontrare persone con percorsi lavorativi diversi dal tuo capaci di arricchirti le conoscenze”.    

 

Come si ottiene la qualità

 “La partenza – afferma Giacomo – è dal vigneto. Se non hai uve di alto livello non puoi sperare di produrre dei vini di alto livello. Per ottenere qualità devi anche comprendere che ogni annata e ogni vigna sono differenti e operare di conseguenza. Poi il clima è cambiato e la gestione del vigneto va adattata alle trasformazioni in atto. In cantina il vino deve essere lavorato il meno possibile, in quanto ha una propria evoluzione e un proprio equilibrio da non forzare. Però, bisogna superare l’onda del “facevamo così”. Perché seguire il “facevamo così” di un tempo può anche portare a un buon prodotto, ma ti lega al concetto che non potrai mai fare di meglio”.

 

Gli obiettivi da presidente Cia della zona di Alba

Per la Cia zona di Alba la responsabile della macro-area e referente è il vicedirettore provinciale, Daniela Destefanis. Giacomo Damonte è stato eletto presidente dall’assemblea del dicembre 2021. Il padre Roberto ha guidato l’organizzazione agricola provinciale dal 2010 al 2017. Chiediamo a Giacomo perché ha accettato l’incarico. Risponde: “Conoscevo bene la Cia. Infatti, quando mio padre è stato presidente provinciale lo accompagnavo spesso alle riunioni. E’ un mondo che mi piace in quanto non tratta gli imprenditori come dei numeri, ma li accompagna e si prende a cuore i problemi di ognuno di loro. Ad Alba, poi, si è creato un bel gruppo di persone il cui obiettivo è di promuovere e  far crescere il territorio. E per raggiungere lo scopo non bisogna legarsi alla visione limitata del restare chiusi in casa, ma uscire fuori per confrontarsi, conoscere, imparare ”.

Gli obiettivi del suo mandato? “Intendo occuparmi soprattutto del settore vitivinicolo, perché è quello che conosco di più e nel quale posso mettere a disposizione la mia esperienza. Poi, nel Roero c’è un buon settore frutticolo da ascoltare. Però, la politica adottata dalla Cia è di avere degli esperti in ogni comparto in modo che possano dare subito risposte concrete alle aziende. E allora cercherò di coordinare le attività anche in base alle esigenze degli imprenditori”.

Come sta e cosa può fare l’agricoltura della “Granda” per essere competitiva? “Veniamo da un paio di anni difficili dovuti al Covid e, adesso, la guerra non aiuta. Tuttavia se un’azienda di qualsiasi settore si specializza in alcune produzioni offrendo qualità, il consumatore lo percepisce. Lavorare bene è l’unica strada da seguire per costruire un futuro sostenibile. A cui si deve aggiungere la capacità di adattamento a tutti i cambiamenti che si presentano, agendo di conseguenza. Inoltre, bisogna legare sempre di più il prodotto al territorio in cui lo stesso nasce e cresce”.

Cosa servirebbe dalle Istituzioni e cosa può fare la Cia per le aziende? “Dalle Istituzioni ci sarebbe bisogno di maggiore agilità nelle decisioni, togliendo una parte di burocrazia. Se ne parla da anni: speriamo che, prima o poi, si arrivi al traguardo. La Cia non deve mai fermarsi e seguire le aziende con sempre maggiore attenzione. Però le aziende devono collaborare tra di loro, perché solo il confronto costruttivo porta buoni risultati per tutti”.

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