Il ricordo dei 23 giorni della città di Alba del Sindaco Carlo Bo

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«Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944»: con questa frase scarna, ma pregna di storia, Beppe Fenoglio definisce la nostra Repubblica Partigiana ne “I ventitré giorni della città di Alba”.

Il Sindaco Carlo Bo, a nome dell’amministrazione tutta, vuole riportare alla memoria degli albesi la cronaca di quanto avvenne durante la Repubblica Partigiana, un tassello importante nella lotta di liberazione della nostra città durante la seconda guerra mondiale, una pagina di storia che ogni albese deve conoscere e continuare a ricordare.

Un ruolo importante in quel tragico momento storico fu tenuto dal Vescovo di Alba monsignor Luigi Grassi che in più occasioni si mise a disposizione per mediare tra i comandi fascisti e i partigiani; nelle parole del sociologo torinese Filippo Barbano «Il Vescovo di Alba, che fra le due parti in contesa fu, durante tutta la guerra di liberazione, in quella zona, la figura più in vista ed attiva».

Ripercorriamo la storia di quei 23 giorni proprio con le parole di monsignor Grassi, tratte dai suoi “Ricordi personali su La tortura di Alba e dell’Albese”.

A inizio ottobre del 1944, quando i reparti fascisti di stanza ad Alba ricevettero l’ordine di lasciare la città, il colonnello Radaelli del Battaglione Cadore chiese proprio a Mons. Grassi «di concedergli come luogo di convegno il palazzo vescovile, perché più appartato e più sicuro» ove poter incontrare il partigiano Carletto.

In tale incontro «fu stabilito un trapasso tranquillo e ordinato del Presidio di Alba dal battaglione Cadore ai Partigiani».

E così il 10 ottobre 1944 Alba è in mano ai partigiani.

Ma la pace ritrovata dura solo 12 giorni.

«Da parte repubblicana tutto era silenzio e ci si illudeva anche un po’ che non pensassero più ad Alba», prosegue il Vescovo, finché però il 22 ottobre sempre a Mons. Grassi viene chiesto di «andare dal Comandante Mauri per invitarlo a cedere la città alla repubblica tranquillamente, come l’aveva ricevuta».

«Il Prefetto […] mi rispose solo che Mussolini voleva a tutti i costi che Alba tornasse alla repubblica e che egli aveva l’ordine di riaverla nella mani a qualunque costo».

I partigiani non accettarono la richiesta, ma al contrario Mauri «mi disse che non avrebbe lasciata Alba a nessun costo e che sarebbe stata difesa via per via, porta per porta».

Il Vescovo tentò di trovare un accordo, ma invano; «Mi ritirai in Cappella, desolato di non essere riuscito ad evitare alla città i mali, che il timore mi faceva prevedere immensi. Avevo supplicato ambo le parti a non porsi nella condizione di distruggere Alba, di massacrare inermi e innocenti, supplicai i Partigiani a ritirarsi al di là dei colli che la circondano perché avevo la certezza che non l’avrebbero potuta tenere, come difatto avvenne, avevo persino proposto che i Partigiani uscissero di Alba e che i repubblicani non v’entrassero considerandola come una città libera nella sua cinta dei viali, ma furono i repubblicani i primi a non voler neppure discutere una tale possibilità».

E così, il 2 novembre i fascisti tornano all’attacco con sparatorie in città e rombi di cannoni oltre il fiume, fino a che «la piccola resistenza sul Tanaro a nord era stata vinta, sul fiume traghettavano i repubblicani ed entravano sparando verso la città».

E’ l’epilogo della Repubblica Partigiana, suggellato dalla bandiera bianca affissa sul campanile proprio dal Vescovo e «come per incanto cannoni e mitraglie cessarono di martoriare la povera città».

Il 12 ottobre 1949 la città di Alba è stata insignita della Medaglia d’oro al valor militare per l’importante contributo dato alla lotta di liberazione – prosegue il Sindaco Carlo Bo – e nel 2019 ricorrono i settant’anni di questa onorificenza. L’Amministrazione sarà al fianco delle associazioni partigiane cittadine, per onorare con il dovuto rispetto la memoria di chi ha combattuto sulle nostre colline per liberarci dal regime fascista“.

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