Donne e lavoro in Piemonte: lo sfruttamento è ancora diffuso

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“Ringrazio di aver scelto il Palazzo della Regione per presentare un’indagine che contiene informazioni fondamentali per contrastare la violenza di genere. I dati dimostrano che l’impegno delle reti diffuse sul territorio è fondamentale, ma purtroppo non ancora sufficiente per arginare totalmente un fenomeno tristemente attuale che dobbiamo contrastare con maggiore forza e con maggiori mezzi”: è quanto ha dichiarato il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio aprendo, in videocollegamento da Bruxelles, la presentazione del primo Rapporto sullo sfruttamento delle donne, nel lavoro domestico e di cura, nell’agricoltura e nell’ambito del fenomeno migratorio, promosso dall’Associazione Slaves No More e dalle ACLI e relativo al 2022.

“La Regione Piemonte – ha poi ricordato il presidente Cirio – ha compiuto passi importanti: l’allora presidente Chiamparino diede il via ad un programma triennale che noi abbiamo rilanciato per il 2022-24 sostenendolo economicamente, perché è un’iniziativa positiva e siamo consapevoli che è un tema sui cui occorre lavorare uniti per cambiare realmente le cose, partendo da studi come quello presentato oggi. Prendiamo il lavoro dell’Associazione Slaves No More e delle Acli, che sono una realtà preziosamente radicata sul territorio, come uno stimolo a fare di più e meglio”.

L’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone ha aggiunto che “è necessario contrastare il lavoro nero e la piaga dello sfruttamento che purtroppo affligge ancora troppe donne. Come Regione Piemonte stiamo lavorando in questa direzione, basti pensare al voucher Scelta Sociale, che rivoluzionando il sistema dell’assistenza domiciliare permetterà nuove opportunità e contratti di lavoro regolari alle operatrici e agli operatori del settore. Ma non solo, la cooperazione internazionale decentrata della Regione è anche in prima fila nei Paesi di forte immigrazione per contrastare lo sfruttamento delle donne vittime di tratta e costruire opportunità di crescita, dignità e sviluppo in loco”.

“Nel ringraziare il Presidente della Regione Piemonte per l’attenzione dimostrata verso questa problematica e per aver concesso il patrocinio della Regione e l’utilizzo della Sala istituzionale per questa evento – ha dichiarato Pino Gulia, presidente di Slaves No More – l’associazione ha voluto confermare, con questa iniziativa promossa insieme alle ACLI di Torino, il metodo del dialogo aperto tra riferimenti ideologici differenti, per fare emergere la drammatica situazione di sfruttamento in cui vivono molte donne, di cui una gran parte di origine straniera. Il Rapporto dà conto di una carenza giuridica e di una disattenzione sociologica su un fenomeno che evidenzia da un lato un persistente maschilismo, e dall’altro un’elevata discriminazione di genere”.

“L’iniziativa – ha aggiunto Raffaella Dispenza. presidente ACLI Torino – si inserisce nell’ambito di un filone di lavoro che le ACLI portano avanti sul tema delle disuguaglianze e delle fragilità, questa volta attraverso la lente femminile, una prospettiva interessante anche per contestualizzare e rilanciare l’azione quotidiana di tutela, di accompagnamento e di contrasto alle discriminazioni che svolgiamo come ACLI sul territorio sia attraverso i servizi sia attraverso le progettualità dell’associazione e della sua rete di circoli. È importante continuare a tenere alta l’attenzione su questi temi e, nel contempo, fare quel lavoro quotidiano di tessitura e ricomposizione delle conflittualità spesso correlate a situazioni di sfruttamento, emarginazione e illegalità”.

Sono intervenuti anche Valentina Cera, consigliera della Città Metropolitana con delega a Politiche sociali e di parità, Jacopo Rosatelli, assessore alle Politiche sociali della Città di Torino, Francesco Carchedi, sociologo dell’Università La Sapienza di Roma e membro del direttivo di associazione Slaves no more.

Il focus dedicato alle dinamiche e alle azioni messe in campo nel territorio torinese ha visto la partecipazione di Osvaldo Milanesio, dirigente del Settore Politiche per le pari opportunità, diritti ed inclusione, progettazione ed innovazione sociale della Regione, Donatella Demo, responsabile del Coordinamento madre-bambino del Gruppo Volontariato Vincenziano Torino, Michela Quagliano, consigliera di parità della Città Metropolitana di Torino, Cristina Maccari, segretaria della Cisl Torino-Canavese, Roberto Santoro, presidente di Enaip Piemonte.

Il Rapporto in sintesi

I lavori delle donne, e in particolare quelli delle donne migranti, sono caratterizzati da un alto tasso di precarietà, informalità e irregolarità. Quello delle donne è un bacino enorme di “sfruttamento strutturale” che, almeno tendenzialmente, coincide con l’intera area del lavoro femminile.

All’interno di questo grande bacino, il Rapporto si sofferma sulle forme di sfruttamento più gravi, lesive di diritti fondamentali, con potenziali conseguenze sulla vita, la salute, la genitorialità, le relazioni, l’inclusione sociale di tante donne.

I dati sull’economia informale nel nostro Paese sono insufficienti e non consentono neanche di produrre stime metodologicamente significative. Ma il numero delle donne gravemente sfruttate è certamente considerevole, se pensiamo che solo in agricoltura, secondo l’ipotesi più accreditata, si tratta di non meno di 50.000 lavoratrici.

Per quanto riguarda il lavoro domestico e di cura, il 70% di coloro che lo svolgono sono migranti. Il settore presenta secondo l’ISTAT un tasso di irregolarità del 57%, a fronte di una media nazionale del 12,6%. A causa delle difficoltà di essere in regola con il permesso di soggiorno, a fronte di un numero di colf e badanti registrate all’INPS di 920.000, si stima che il totale delle impiegate e impiegati nel settore si aggiri sui 2,1 milioni secondo l’Osservatorio Domina. In quest’area di irregolarità possono celarsi le forme più gravi di sfruttamento.

Elementi caratterizzanti dello sfruttamento lavorativo delle donne sono la sottoposizione sistematica a molestie, ricatti e violenze sessuali, la dipendenza dal datore di lavoro, specie nel caso in cui la lavoratrice domestica abiti nella stessa casa, o in cui la lavoratrice agricola viva in un’abitazione messa a disposizione dal datore o dal caporale. Inoltre quando le donne riescono ad avere con sé i figli, le responsabilità di cura sono spesso un ulteriore fattore di vulnerabilità, e una delle ragioni per cui talvolta le donne sono costrette a sottostare ai ricatti sessuali di caporali e datori di lavoro. Altro elemento caratterizzante il grave sfruttamento delle donne è la scarsa o inesistente soggettività contrattuale, dovuta in parte alla dipendenza dai caporali, e in parte ai condizionamenti familiari. In alcuni settori esiste inoltre un consistente gap salariale tra donne e uomini, pur nella comune condizione di sfruttamento. In agricoltura, ad esempio, in alcune zone una donna percepisce 25-28 euro al giorno, mentre un uomo può arrivare a 40.

Il grave sfruttamento femminile, infine, comporta talvolta il transito da una forma di sfruttamento all’altra, tipicamente dallo sfruttamento sessuale allo sfruttamento lavorativo e viceversa. Alcune donne svolgono entrambi per guadagnare di più e ripagare più velocemente il debito contratto con i trafficanti. Si verificano

anche casi di sfruttamento lavorativo emersi a seguito della denuncia di violenza domestica subita dalla lavoratrice ad opera del partner, il che mostra l’intreccio di sfruttamento e violenza nell’esperienza femminile.

Lo sfruttamento sessuale ha dimensioni enormi. Si tratta di una delle forme più coercitive di sfruttamento delle donne, che raggiunge punte di violenza sistematica nel caso delle persone LGBT+, soprattutto di provenienza brasiliana. Il Rapporto si sofferma su alcune tendenze recenti, in particolare la prostituzione indoor e gli annunci online. La ricerca ha riguardato 200 siti web attivi in tutta Italia. Il business che ne scaturisce, secondo stime ISTAT del 2021, è di 4,7 miliardi di euro, un volume di affari doppio rispetto all’intero settore alberghiero.

Il sottotitolo del volume è “Il diritto di essere protagoniste”, poiché la ricerca si sottrae a una rappresentazione vittimistica, mettendo in evidenzia l’agency delle donne, le loro competenze, la loro capacità di prendere decisioni importanti sul proprio futuro e su quello delle loro famiglie pur nella condizione di sfruttamento, le potenzialità di sindacalizzazione e di auto-organizzazione.

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