Delitto Hysaj: I “non ricordo” della ex di uno degli accusati

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Il locale di via XXIV Maggio dove sarebbe avvenuta l’esecuzione forse per uno sgarro nel traffico di droga, e Avenir Hysaj in una foto diffusa quando i familiari lo cercavano dopo la sua scomparsa nel febbraio 2021

BRA – Potrebbe costarle un rinvio a giudizio la mancanza di memoria dichiarata l’altra settimana ad Asti da una 27enne già compagna di uno dei due accusati del delitto Hysaj a Bra. La donna ha detto «mi sono dimenticata tutto» quando il pubblico ministero Simona Macciò le ha chiesto di un’intercettazione telefonica risalente ai giorni successivi all’assassinio. Al telefono con un amico parlò di uno zaino contenente abiti sporchi di sangue portato nella sua abitazione da Daniele Savoia, 25 anni, al­l’epoca suo fidanzato. Proprio Savoia potrebbe essere stato l’esecutore materiale del­­­l’omicidio, stando ai rilievi del Ris dei Carabinieri perpetrato in un magazzino del circolo “L’Arcobaleno” in via 24 Maggio nella città della Zizzola. Avenir Hysaj, muratore di origini albanesi, 34 anni, potrebbe aver pagato con la vita uno sgarbo nel giro della droga. Giro che a livello locale come “L’Arcobaleno” era controllato dai Luppino, famiglia sospetta ’ndranghetista originaria della Calabria,con diversi suoi esponenti pregiudicati.

Quello alla sbarra in questo processo, Nicholas, 37 anni, potrebbe essere stato mandante della fine inflitta all’Hysaj, sparito il 21 febbraio del 2021 e ritrovato cadavere, con tre proiettili in testa, circa un mese dopo in un burrone nel territorio di Pocapaglia. L’ex fidanzata di Savoia non ha tuttavia portato alcun elemento a sostegno di questa tesi. Ha spiegato in Tribunale di essere attualmente ospite di una comunità di recupero per la tossicodipendenza che aveva iniziato proprio durante il rapporto con Daniele Savoia. Tra le terapie che si sarebbe imposta, ci sarebbe anche il cancellare i ricordi collegati a quell’epoca in cui abitualmente assumeva cocaina e fumava crack. Il presidente della Corte d’Assise, Alberto Giannone, ha fatto presente alla giovane i suoi doveri di fronte alla legge, avvertendo che po­treb­be essere a sua volta chiamata a rispondere di falsa testimonianza. Gli stessi “non ricordo” sono stati la risposta data alle domande poste alla donna dagli avvocati di parte civile, i famigliari dell’albanese, e dalle difese dei due imputati. La testimone ha ac­cennato al fratello, il quale, quando ancora Hysaj era ricercato e non si avevano certezze del suo destino, le avrebbe detto di ritenere che era stato ucciso per un debito con trafficanti di droga. Anche lui potrebbe ora essere chiamato dalla Giustizia in un altro procedimento . «Nik» e la Georgia Nella succesiva udienza sono stati sentiti altri testimoni.

Due persone, pure loro con­sumatori di cocaina, le cui parole «Ciao Nik, lanciatore giù dalle rocche» furono colte dai carabinieri in un’intercettazione ambientale al Luppino nei giorni immediata­men­te seguiti alla notizia del ritrovamento del cadavere. Uno dei testi ha riferito quello che potrebbe essere il movente del reato: riprendere dall’Hysaj i soldi di un debito di droga che l’assassino o gli assassini avevano appena saldato con lui. Ma su chi materialmente abbia premuto il grilletto, nessuna indicazione. L’avvocato Renato Cravero che patrocina Luppino, ha fatto notare come il magazzino presso “L’Arcobaleno” sarebbe stato raggi­ungibile da chiunque anche dal­l’esterno del circolo.  Inoltre, si è saputo che il ristoratore di Cherasco proprietario dell’auto Porsche Macan a quanto pare data in prestito per altri debiti verso i Luppino, e per l’accusa utilizzata da Nicholas e/o dal Savoia per trasferire il corpo dell’albanese a Pocapaglia, ha denunciato di appropriazione indebita un car­roz­ziere. A questi il suv, riconsegnato sporco e ammaccato, fu affidato e l’artigiano, stando al ristoratore senza autorizzazione, l’avrebbe fatto sparire spedendolo al­l’estero, in Georgia. Qui è stato venduto.

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