Cia Cuneo, Conterno: “I giovani sono un valore aggiunto per le aziende, ma non dobbiamo deluderli”

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Gli agricoltori dei nostri giorni non sono più quelli di cinquant’anni fa e dei decenni prima, con i visi scavati dalla fatica e dal sudore di un lavoro portato avanti ancora quasi completamente a mano. La tecnologia, nella seconda parte del secolo scorso e anche ora, ha compiuto e continua a compiere passi da gigante, offrendo al mondo rurale macchine e attrezzature moderne e in grado di supportare lo svolgimento dell’attività in tempi ridotti e con minore sforzo fisico.  Due domande. Tutto questo può bastare a far sì che, in un momento difficile per l’economia come l’attuale,  l’agricoltura possa rappresentare sempre di più un’opportunità di lavoro per i giovani?  Consapevoli di stare con i piedi ben ancorati alle radici delle tradizioni, ma con lo sguardo rivolto alla salvaguardia dell’ambiente, alle innovazioni, ai metodi biologici, al sociale?

 

Le riflessioni del presidente Cia di Cuneo, Claudio Conterno

Ne abbiamo parlato con Claudio Conterno: presidente provinciale Cia Agricoltori Italiani di Cuneo. Dice: “Abbiamo un ritorno all’attività agricola delle nuove generazioni. E di giovani in gamba ce ne sono tanti. Stimoliamoli e stimiamoli. Con le loro capacità e una nuova mentalità aperta all’innovazione e a una gestione imprenditoriale delle aziende possono portare quello straordinario valore aggiunto di cui il nostro mondo ha bisogno. Mi confronto continuamente con loro. Costituiscono il seme capace di far germogliare quei percorsi positivi che, oggi, ci servono. Anzi, sono indispensabili per aiutarci a compiere il salto di qualità, ad avere quella visione rivolta al futuro necessaria per raggiungere gli obiettivi ai quali occorre puntare nei prossimi anni”.

Però? “Non bisogna deluderli. Anche come associazione dobbiamo consigliarli. Ad esempio sui Bandi del Programma di Sviluppo Rurale per l’insediamento dei giovani è inutile spingerli ad aprire un’azienda se già si può cogliere, dalle loro idee, che non sarà sostenibile economicamente. Se non crea reddito, dopo cinque anni chiude. E’ un percorso dimostrato, purtroppo, dalla realtà dei fatti. E questo, oltre a rappresentare uno sconforto per quanti ci hanno provato, significa anche un fallimento per chi ha alimentato un progetto destinato a fallire e, in generale, per l’intero mondo agricolo”.

Le organizzazioni di categoria come possono aiutare i giovani intenzionati ad avviare un’attività? “Vanno affiancati da bravi consulenti tecnici e fiscali, così da facilitarne l’ingresso nel mondo agricolo anche trasmettendo loro le conoscenze e i saperi di un tempo di cui, magari, hanno appena sentito parlare. Dobbiamo aiutarli a mettere insieme tradizioni e innovazione. E poi devono essere i giovani a utilizzare le organizzazioni di categoria nel modo migliore, chiedendo e informandosi in quanto, a volte, non sanno che il settore di cui si occupano è seguito molto bene dalle stesse associazioni”.  

E le Istituzioni? “Ormai è un ritornello che ripetiamo da anni e vale per tutte le aziende: ridurre la burocrazia. Prendiamo i bandi del Programma di Sviluppo Rurale. I controlli vanno fatti, ma con regole chiare, precise, veloci. Altrimenti, i giovani li perdiamo subito perché non capiscono quel mare di carte necessarie a costruire un progetto e cercano altri sbocchi lavorativi”.

I rapporti con le banche? “Anche questo è un tema che non vale solo per i giovani, ma per loro può essere determinante nella scelta di aprire un’attività. La mia generazione di imprenditori si è sviluppata con i mutui perché le banche, in passato, capivano l’esigenza di finanziare l’agricoltura dandole il tempo di crescere. Oggi, invece, sono diventate delle finanziarie e, spesso, la persona con cui parli per ottenere un prestito ti sa spiegare tutto dell’alta finanza, ma non conosce nulla di agricoltura. I nostri investimenti iniziano a tradursi in frutti concreti dopo molti anni. Se le banche non capiscono questo e ragionano solo in funzione della restituzione in tempi brevi delle risorse concesse, il loro supporto non funziona”.

In agricoltura mancano i lavoratori

I giovani possono prendere in mano l’azienda dei loro genitori, anche se il passaggio generazionale non sempre è così semplice, costruire un’attività nuova oppure lavorare nel mondo rurale come dipendenti. Perché l’agricoltura ha bisogno come il pane di manodopera. “Un agricoltore – spiega Conterno – lavora mediamente da 12 a 16 ore al giorno, in quanto deve pensare a produrre e poi a come promuovere e vendere quanto coltiva o alleva. E deve occuparsi anche della parte burocratica. Sovente non ce la fa ad arrivare a tutto. Quindi, ha bisogno di persone capaci e fidate che lavorino con lui. Perché la tecnologia è indispensabile, ma le persone sono e saranno sempre il fulcro dell’attività agricola. Certo, occorre garantire loro i contributi e i salari previsti dalla Legge. E farle lavorare sempre in condizioni di assoluta sicurezza. Su questo aspetto il mondo rurale deve assumersi le proprie responsabilità”.

Ma, nonostante la disoccupazione, non è così facile trovare la manodopera necessaria? “In provincia di Cuneo, la disoccupazione ha percentuali basse. Per cui, è anche più difficile trovare manodopera. Personalmente, se devo assumere qualcuno lo cerco giovane e provo a capire quali sono le attività a cui preferirebbe dedicarsi. Poi, se è di Alba, macedone o del Burkina Faso non mi interessa. Il colore della pelle non ha importanza. E stiamo attenti. Perché, se l’evoluzione del mondo agricolo continua in questa direzione, tra dieci anni andremo noi a cercare i lavoratori in Africa e pagheremo loro il viaggio in aereo purché accettino di venire nelle nostre aziende.”  

 

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