Bra: al Fondaco “A fior di pelle”, le foto della Pedratscher

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La saluzzese Cristina Pedtratscher

BRAIl prossimo sabato 10 dicembre alle ore 17 nei locali dell’associazione culturale “Il Fondaco” (via Cuneo n. 18) a Bra, ci sarà l’inaugurazione della mostra fotografica della saluzzese Cristina Pedratscher. S’intitola “A fior di pelle” e l’apertura sarà accompagnata da una performance musicale di Marta Mattalia. Visite ogni giovedì, venerdì e sabato dalle 16 alle 19 o su appuntamento telefonando al 339/78.89.656 fino al 14 gennaio. Di seguito, un testo critico su questa esposizione (curata da Silvana Peira) firmato da Anna Cavallera.

L’esistenza come superficie incarnata esposta al mondo 

Parte dalla pelle, l’organo di senso più esteso del nostro corpo, il nuovo progetto fotografico di Cristina Pedratscher. L’epidermide intesa come varco, punto di partenza e d’arrivo bidirezionale della quale l’essere umano dispone e sperimenta attraverso la tattilità, per entrare consapevolmente in contatto con il sé più profondo e per suggellare un rapporto empatico con il resto del mondo. 

L’artista riflette da tempo sul tema scelto per questa esposizione, dai primi laboratori teatrali che svolse sull’ascolto emotivo e successivamente grazie all’approfondimento della danza-contatto, una disciplina artistica che si basa sul primo dei sensi e si caratterizza per l’improvvisazione dei movimenti, sui rapporti e le relazioni tra i corpi, fulcro della massima espressività. La pelle, ricca di recettori, trasforma gli stimoli in energia, in impulsi nervosi che arrivano al cervello e ne vengono poi decodificati e trasformati in movimento, gesto, espressività. Respiro. Emozione. L’avvicendarsi fisico tra ballerini, per i quali il toccarsi è parte necessaria della materia, conduce ad una partecipazione condivisa globale che si origina nel movimento fusionale dei neonati: la prima danza, l’antica comunanza emozionale tra due soggetti che non sfocia mai nell’appropriazione o nell’identificazione. 

Per attuare e cristallizzare questa comunicazione non verbale così intensa ed immediata, Cristina Pedratscher usa un linguaggio che le appartiene e la rappresenta da anni: la fotografia. 

Un mezzo che le consente di condurre una spoliazione concettuale e che, attraverso la scelta del nudo la conduce a realizzare delle immagini in cui l’essenza naturale dei soggetti, privata dei classici stereotipi figurali, viene risaltata e potenziata, tanto da consentire al fruitore di contemplare qualcosa che gli è proprio, nel quale può identificarsi. La nudità, l’estetica di un’esposizione indifesa del corpo che costituisce un rapporto teso al di fuori di sé. 

Questa ricerca conduce ad una lirica sostanziata in inquadrature bilanciate, tra luci ed ombre, dalle quali emergono i volumi e le curve modulate dei corpi: il divenire dell’interiorità di una persona spogliata che sussiste come superficie incarnata. Non solo una rappresentazione estetica, ma la costruzione di un discorso antico ed intimo che si fa dialogo a più voci e che echeggia dalla notte dei tempi. 

Il percorso espositivo assume le valenze di un cammino per certi versi iniziatico e catartico che pone l’essere umano alla riscoperta del proprio io, in relazione al resto dell’universo, partendo dall’elemento materiale, dalla propria fisicità spesso inespressa, celata o rifiutata, dai contorni di corpo mortale che si riconosce attraverso il tatto ed occupa spazi fisici, ma soprattutto costituisce il parametro attraverso il quale è possibile percepire consapevolmente lo srotolarsi del tempo e della vita, la propria immanente fragilità. 

Come ogni persona è costituita da singole cellule accostate e funzionanti solo se in relazione tra loro, così l’istinto evolutivo spinge l’umanità ad evadere dalla propria sfera individuale, dall’effimera presenza sensibile inappropriabile dall’Io o dal Sé, per entrare in contatto spirituale e fisico con l’alterità dei propri simili. Accettato questo bisogno primordiale e superata la paura del rifiuto e le costruzioni imposte dai contesti socio-culturali di ogni epoca, il soggetto si apre all’incontro, al sentire di un corpo sempre esposto, allo scambio profondo ed appagante dei sensi. Dalla vibrazione della pelle al cuore, l’animo si colma di un’energia che si propaga tutt’intorno, al ritmo di un’armonia antica dalla quale può generarsi nuova vita. 

Può apparire al contempo rivoluzionario e banale, al giorno d’oggi, soffermarsi sui bisogni essenziali e primari dell’umanità, ma la Pedratscher riesce a compiere quest’operazione grazie alla raffinata eleganza del suo sentire e del suo indiscusso talento artistico. 

A fior di pelle veicola concetti forse utopici che galleggiano nella psiche dell’uomo, spesso tralasciati o ricacciati nell’oblio. Temi complessi come la fragilità dell’essere ed il timore del percepirsi, la ricerca della conoscenza e la scoperta dei propri limiti, l’approccio sensibile con l’altro, l’accettazione, l’affidarsi, l’abbandono consapevole alla cura. Idee che prendono vita e si fanno visibili nei suoi scatti, s’insinuano tra le pieghe dei corpi, negli sguardi socchiusi, sulle membra sfiorate. 

L’artista si fa regista e mette in scena un vero e proprio spettacolo nello spettacolo, un’esperienza condivisa dove al centro c’è l’essere umano, la cui complessità spirituale e fisica è magistralmente declinata per mezzo di vari linguaggi estetici e performativi. Ricerca teatrale, danza, musica, coreografia, fotografia si alternano nel tentativo – riuscito – di una rappresentazione spontanea e naturale, priva di artifici né finzioni ed affidata alla libera interpretazione altrui. La Pedratscher dirige e partecipa allo svolgersi della scena per indagare una propria poetica personale, un’autocoscienza che carica di materiale emozionale ogni sua immagine. 

I suoi protagonisti sono ballerine e ballerini della Contact Improvisation, esperti interpreti che si lasciano condurre dalle suggestioni della fotografa, senza limitarsi ad un’esecuzione sterile e meccanica, bensì facendosi portavoce di un messaggio tanto personale quanto universale. 

Fanno cose reali, o meglio, le hanno compiute sul set della Pedratscher. Il suo occhio ne ha colto il senso profondo e ha reso eterno quel movimento, cristallizzandolo in una pellicola che diventa immagine visibile, tangibile, concreta e perennemente contemporanea. Corpi giovani, naturalmente forti e vitali, tonici e muscolosi, eppur fragili ed effimeri, meravigliosamente imperfetti nella propria unicità fatta di nei, di peluria, di cicatrici e rughe, dominano fotografie apparentemente immobili, testimoni di un hic et nunc permeato di sensazioni in movimento, vita ed esperienze ormai passate che custodiscono l’essenza, la potenza del contatto e ne propagano all’infinito la suggestione emozionale. 

Nelle venti fotografie di grande formato che compongono A fior di pelle la fotografa diventa episcopos di un processo creativo di ricerca sperimentale, una drammaturgia complessa che parte e torna a riflettere sulla persona attraverso la circolarità ermeneutica dell’arte. 

A differenza dell’azione interpretativa propria della danza contemporanea, nel suo progetto fotografico -concettualmente raffinato, poiché affidato alla potenza di un’immagine selezionata, evocativa, già cristallizzata in un obiettivo e, pertanto, immobile e superata – il movimento non si celebra nella fisicità contestuale allo spettacolo, ma viene posticipato ad un momento successivo. Prenderà forma nello sguardo dello spettatore che si poserà sui suoi scatti e che diventerà a sua volta parte della rappresentazione, interagendovi in modo differente, in base al proprio bagaglio di vita, alla volontà di accogliere o meno un’esperienza intima e di esserne trasformato. 

Il personalissimo discorso visivo della Pedratscher si compone di più azioni sceniche. 

Corpi in attesa, consapevolmente precipitati nella percezione del sé, colmi di un desiderio che pervade lo spirito e vibra sull’epidermide nuda

Nella prima sequenza fotografica ritroviamo atmosfere sospese dove tutto è in potenza e la sfera intima emerge senza necessità di palesarsi, bensì è interpretata a colpi di luce e ombre. Tutto appare nitido, semplice, immediato e la vicinanza dei protagonisti avvicina la percezione del contatto epidermico. Affiorano isolamenti interiori, persone spogliate dalle maschere del quotidiano poste di fronte al proprio essere e colte in tutta la loro disarmante naturalezza, nell’attimo dell’abbandono, della scoperta delle sensazioni che nascono dal contatto con il proprio fisico. Il calore generato da una carezza che sfiora un viso, un seno. 

I fondali neri decontestualizzano la narrazione evidenziando il focus del progetto, mentre l’inquadratura circolare che racchiude le immagini richiama l’obiettivo fotografico ed il geometrismo curvilineo tipico del corpo umano. La Pedratscher veste i suoi nudi della forma, di una naturalezza composta che si inserisce in atmosfere atemporali. Dona un’anima a nudità anonime. 

La tensione che prelude all’incontro, il contatto, lo scambio. Pelle contro pelle. 

È negli scatti di coppia che si compie l’incanto. L’idea, il desiderio si fa urgenza e si sostanzia in scintilla vitale che va alla ricerca altri corpi da esplorare per poi tuonare nel gesto antico del toccarsi. 

Un flusso di energia travalica il reale attraverso la materia; accende tutto e trasporta l’irreale, l’immaginato, il desiderato, sino a farsi unione terrena e spirituale. Mani che sfiorano, braccia che accolgono senza stringere né possedere, l’energia fluisce liberamente e si irradia da corpo a corpo, passa dal respiro imprigionato negli scatti della fotografa allo sguardo dell’osservatore. 

La nudità come rapporto che lascia affiorare i confini dell’anima. 

L’ultimo gruppo di immagini sintetizza l’incontro tra il singolo e una moltitudine di presenze, una comunità fatta di mani che accarezzano, accolgono e permettono agli occhi di dischiudersi in nuove consapevolezze. 

La percezione si fa tremito, il contatto genera calore, permea la carne, i nervi, i muscoli, scivola sotto le palpebre socchiuse e pervade lo spirito in una danza che si rinnova dalla pelle ad un’altra pelle, da un’anima all’altra sino all’epilogo della resa, al superamento della paura che apre la via alla conoscenza. 

In questo sfiorarsi sensuale e non erotico si materializza la sacralità del messaggio dell’artista. 

Il corpo si fa tempio terreno, separato dal reale, un luogo dove tutto è in perfetto equilibrio naturale, armonico e bilanciato, tanto da rinnovare e moltiplicare l’antico slancio vitale. 

L’estetica del nudo della Pedratscher rifugge la manipolazione tecnica e pare richiamare al Pittorialismo dei primi decenni del Novecento, quando la fotografia guardava all’arte, tanto da assurgere a linguaggio autonomo ed emozionale. L’autore non solo si limitava a dar vita a produzioni realiste o accademiche, ma reinterpretava la realtà servendosi di un medium flessibile, di matrice impressionistica, dal quale prendeva il largo una forma d’espressione artistica per sé valida. 

Numerosi paradigmi avvicinano altresì la sua ricerca alle tendenze della Straight Photography, per la quale il nudo costituiva una sorta di esplorazione non situazionale tale da decontestualizzare una parte della narrazione e cogliere l’essenza delle forme e della materia. Non ci sono bagliori improvvisi ad illuminare il racconto della Pedratscher, così come i soggetti-oggetti delle sue composizioni non conoscono pose, ma sono liberi da alcun artificio e colti dal suo sguardo improvviso. Nudi che emergono da ambienti siderei, avvolti nelle tenebre ed immobili, decontestualizzati, simboleggiano l’essenza dell’umanità che partecipa all’antica purezza del cosmo, con il quale suggella un’unione empatica e psichica attraverso il proprio corpo. 

L’obiettivo fotografico dell’artista isola la danza innata dei corpi in movimento e si traduce in una visione più naturalistica del reale, una rappresentazione ulteriormente soggettiva, prepotentemente espressiva e contemporanea. Un incedere per immagini, quello di Cristina Pedratscher, concettualmente indipendente, un processo di intensificazione verso l’interno che sì parte dalla superficie esterna, ma attraversa lo spirito e si fa specchio dell’anima. 

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