Allevatori di suini in difficoltà, prezzi di vendita inferiori ai costi di produzione

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Continua la situazione di difficoltà per il comparto suinicolo cuneese, ancora in forte sofferenza a causa delle dinamiche che da quando è incominciata l’emergenza sanitaria si sono innestate sul mercato. Se con la fine del lockdown le quotazioni hanno invertito la tendenza dei mesi precedenti, che aveva portato i prezzi a minimi storici, tuttavia le variazioni positive sono troppo contenute e ben lontane dal condurre il settore alla soglia di una reale ripresa. I prezzi a cui gli allevatori si trovano costretti a vendere i capi sono ancora al di sotto dei costi di produzione. Motivo per cui le oltre 800 aziende del comparto in provincia di Cuneo (più di 900mila suini in tutto, il 70% del Piemonte) sono in allarme da tempo ormai.

“Qualche segnale di ripresa c’è, ma il prezzo di vendita è ancora inferiore al costo di produzione – dichiara il presidente della sezione suinicola di Confagricoltura Cuneo, Roberto Barge –. Durante il periodo del lockdown le quotazioni sono scese di 5 centesimi alla settimana, che è il massimo consentito. Ora risalgono di appena qualche centesimo alla settimana, se va bene, nonostante la richiesta di prodotto da parte del mercato sia buona. Con l’attuale livello della domanda sarebbero giustificati aumenti decisamente superiori, ma all’interno della filiera c’è chi tende a limitarli. Teniamo conto che eravamo arrivati anche a 1 €/kg e di questo passo, per tornare ad un prezzo dignitoso, ci vorrà troppo tempo”.

“Che si registrino oscillazioni nelle quotazioni è qualcosa di fisiologico, che può succedere e che mettiamo in conto, ma la situazione di questo 2020 è altra cosa – sottolinea il presidente della sezione suini di Confagricoltura Piemonte Davide Razzano –. Con gli attuali rialzi, se tutto va bene, arriveremo a pareggiare i conti a settembre. E teniamo anche conto che quest’anno non ci saranno eventi, fiere e sagre, di solito occasioni favorevoli per il consumo di carne suina, così come il turismo è fortemente ridotto. Se le nostre aziende vogliono avere qualche chance di sopravvivenza, devono cominciare al più presto a guadagnare qualcosa, ma ad oggi lo scenario non è favorevole”.

La situazione ripetutamente denunciata dai rappresentanti di Confagricoltura in Piemonte si ripercuote pesantemente ormai da mesi sulle attività del territorio che si trovano a fare i conti anche con il continuo aumento della carne importata. “Continua ad arrivare molta, troppa, carne dall’estero – conclude Roberto Barge –. Rispetto a questo tipo di concorrenza, speriamo che con l’etichettatura, che permette di riconoscere con certezza il capo nato, allevato e macellato in Italia, il prodotto nazionale venga maggiormente premiato dal consumatore e serva a limitare il consumo di carne importate il più possibile”.

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