Quel vino Barolo in parte non è stato fatto nella zona del Barolo: così ha stabilito il giudice di primo grado ad Asti nei confronti dell’azienda di Mario Giribaldi di Rodello. Per contraffazione di denominazione e falso l’ha quindi condannato a 6 mesi di reclusione e 6mila euro di multa.
La vicenda era già stata riferita sul “Corriere” lo scorso ottobre quando stava per aprirsi il processo. Circa un anno prima i carabinieri del Nas avevano messo i sigilli a botti delle annate dal 2013 al 2016 e sequestrato un quantitativo di bottiglie di vendemmie precedenti. L’ispezione avvenne a Barolo, in locali di proprietà del genero di Giribaldi, secondo gli inquirenti però deraspatura, fermentazione e pigiatura sarebbero avvenute esternamente alla zona che le regole della Docg ammettono: appunto a Rodello, comune poco distante ma che non rientra tra quelli compresi.
La sentenza della dott.ssa Claudia Beconi ha disposto la confisca di 258 ettolitri di vino in invecchiamento e di quasi 700 bottiglie con i relativi sigilli per un valore commerciale che si aggira sui 270mila euro.
L’avvocato astigiano Aldo Mirate difensore di Giribaldi ha annunciato appello. «La sentenza è profondamente errata – ha lamentato sottolineando: «Non è in discussione la genuinità del prodotto e la provenienza da uve Nebbiolo della zona tipica». Un caso che, come quello simile in cui è stato coinvolto l’ex presidente del Consorzio di tutela, Orlando Pecchenino, riapre il dibattito sul rigido disciplinare di produzione del “re dei vini”.